LE TRANCES NEL DISCORSO AMOROSO


Ecco alcuni appunti dai FRAMMENTI DI UN DISCORSO AMOROSO di Roland Barthes riordinati secondo trances diverse: quando l'attenzione è a stare bene, quando si sta male, quando si rischia di stare peggio.
Si parte con l'accorgersi della follia-malattia dell'innamorato
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L'innamorato non smette mai di correre con la mente e di intrigare contro se stesso.
Il suo discorso è fatto a vampate di linguaggio causate da circostanze infime, aleatorie, che gli fanno cogliere la struttura ricostruendone l'ampiezza.
Ciò che il single invidia alla coppia è la struttura, che anche se non dà la felicità é 'abitabile' (=ci si sta dentro per dare continuità al sistema anche se la si critica).
La solitudine dell'innamorato è la solitudine per cui è da solo a fare sistema.

Il cuore dell'innamorato è pieno di cattivi sentimenti, il suo amore non è generoso.

L'innamorato è 'come' pazzo, la sua follia è metaforica, egli non è davvero pazzo in quanto può dire di esserlo.
L'innamorto vive in uno stato di doppia trance: vive contemporaneamente due mondi/contesti immaginari senza riuscire ad appartenere completamente a nessuno di essi.

QUANDO SI STA BENE: LE TRANCES GRADEVOLI


Per prima cosa amiamo un quadro, l'oggetto amato in un contesto che lo consacra.
Ciò che colpisce è una persona intenta ad un lavoro che non bada a me.
Io sorprendo l'altro nel suo contesto e proprio per questo l'altro sorprende me, io non mi aspettavo di sorprenderlo.

Abbraccio: in questo incesto ritrovato tutto rimane sospeso: il tempo, la legge, la proibizione, niente si esaurisce, niente si desidera, tutti i desideri sembrano definitivamente appagati.
Tuttavia in quell'abbraccio infantile il genitale si fa sentire rimettendo in marcia la logica del desiderio.

Esiste un freddo speciale dell'innamorato, la freddolosità del cucciolo che ha bisogno del calore materno.

Non c'è solo bisogno di tenerezza, ma anche quello di essere tenero con l'altro.
Il gesto tenero dice: chiedimi qualunque cosa che possa sopire il tuo corpo, e non dimenticare che ti desidero un po', leggermente, senza volere immediatamente ghermire alcunché.

Adorabile: tautologia (adoro in quanto è adorabile) che serve a stordirmi con la sua affermazione.

Quando sento che tutto ciò che faccio ha un senso, questo senso è la finalità inafferrabile che consiste nella coscienza della mia forza.

La magia scaramantica: es: osservo le foglie, se una sta per cadere trema con lei tutto il mio essere, con lei cadrebbe la mia speranza.
Io non sono dialettico, la dialettica direbbe che comunque la foglia cadrà poi , ma intanto io sarò cambiato e non mi porro più la domanda.
L'innamorato tenta di decifrare i segni, e lo fa perfettamente, ma non sa fermarsi su una certa decifrazione e viene preso in un ciclo perpetuo.

Continuamente invitato a definire l'oggetto amato, e soffrendo a causa del dissacramento di questa condizione, il soggetto amoroso sogna una saggezza che gli farebbe accettare l'altro così com'è, esente da ogni aggettivo. (Detesta che un altro definisca a parole il suo amato 'solo io innamorato lo conosco, lo faccio esistere nella sua verità, visto che solo con l'altro mi sento me stesso').
Ama l'altro non per le sue qualità contabilizzate, ma per la sua esistenza (con impulso mistico: amo non ciò che è ma in quanto è), in questo modo gli sembra di poter desiderare di meno l'altro e di goderne di più.

QUANDO SI STA MALE: se si fa resistenza al no-trance-state, se si definiscono male i confini, se si vive impazienti in un altroquando, se pensieri creano paure.

L'alterazione dell'immagine dell'altro si ha quando ho vergogna per l'altro, il che fa sentire minacciosamente un mondo completamente diverso che è poi il mondo dell'altro.

Vi sono dei momenti in cui si ha bisogno di sentirsi dire che il crollo temuto è già avvenuto "non essere più angosciato, tu l'hai già perduto".

Quando si vive il mondo come rivale in quanto obbliga a spartire l'attenzione dell'oggetto amato che si occupa d'altro da noi cancellando la relazione duale esclusiva.

Senso di colpa di essere forte, di avere padronanza nel mondo dei non innamorati.
Es: non me ne vado prima che il treno su cui c'è l'oggetto d'amore sia partito anche se è inutile che io resti qui -> costrizione simbolica.

Senso di abbandono quando l'altro sta male, essendo egli infelice di per sé, senza di me.

La ricerca di appagamento (come se la giusta misura fosse 'non mai abbastanza') porta a cumulare un troppo -> Margherita: 'ti voglio troppo bene, ma non voglio togliere questo troppo'.
La coreografia della frustrazione è la presenza, in cui l'oggetto d'amore è qui ma seguita a mancarmi, non ne sono sazio.

Attesa: tutto ciò che circonda l'attesa dell'innamorato è de-reale, gli altri, che non aspettano, vivono un'altra realtà.
- All'assente io faccio continuamente il discorso della sua assenza (rendendolo presente come allocutore). "Se fosse qui potrei rimproverargli di non essere qui".
- 'Far aspettare' è prerogativa di qualsiasi potere.
Con la sensazione di de-realtà si subisce una doppia perdita (e un doppio senso di inadattamento): sono escluso e ciò da cui sono escluso non mi fa invidia.
Subisco il mondo come un sistema di potere: gli altri sono maleducati in quanto mi impongono il loro sistema di essere = gli altri vivono in uno stato di pienezza mentre io no e pertanto non posso avere rapporto con il mondo-potere (e come averne se non ne sono né lo schiavo, né il complice, né il testimone).
Ogni tanto la sensazione si rovescia 'cosa diavolo sto facendo qui?' e ad apparire de-reale è l'amore.

La fascinazione, anche per l'amato, non è altro che il punto estremo del distacco.

COME STARE PEGGIO QUANDO SI STA MALE

Nel lutto amoroso si soffrono due infelicità contrapposte: soffro che l'altro sia presente e soffro per il fatto che sia morto come mio oggetto d'amore.
- Soffro rifiutando il timore che questo oggetto perda di significato.
- Nel lutto il dolore è la perdita del linguaggio amoroso.
Piangendo voglio impressionare qualcuno e spingerlo alla commiserazione. Questo qualcuno è spesso l'altro ma posso essere anche io.
Mi scelgo una parte: io sono quello che piange. Recito questa parte davanti a me stesso ed essa mi fa piangere (sono Il teatro di me stesso).
Mi faccio piangere per provare a me stesso che il mio dolore è un'illusione (le lacrime sono allora dei segni e non delle espressioni).
Attraverso le lacrime racconto una storia e do vita a un mito del dolore e da quel momento mi uniformo ad esso.

Dissolvenza: 'Sto per lasciarti' dice ad ogni istante la voce al telefono.
Non si conosce la voce dell'essere amato se non quando essa è morta, ricordandola.

Si è sempre gelosi di due persone contemporaneamente: di chi amo e di chi lo ama.
L'odiosamato (il 'rivale') è anche amato da me, m'interessa, mi incuriosisce, mi affascina.
Come geloso soffro 4 volte perché:
- sono geloso, mi sento escluso
- mi rimprovero di esserlo, mi sento pazzo
- temo che la mia gelosia finisca per ferire l'altro, mi sento aggressivo
- mi lascio soggiogare da una banalità, mi sento come tutti gli altri

Pensando ad una via d'uscita da una situazione che 'non può continuare così' semplicemente dimentico ciò che invece bisognerebbe sacrificare: la mia follia (che per sua essenza non può essere sacrificata da chi se la porta).
Tutte le soluzioni che riesco a immaginare sono interne al sistema.

I DISCORSI

Nell'istante in cui sento una frase 'riuscita' nella quale credo di scoprire l'esatta espressione di una verità (focusing) questa frase diventa una formula che ripeto in proporzione del grado di acquietamento che essa mi da.

Non si può scrivere-dire senza tradire un po' la propria 'sincerità': facendolo si sacrifica un po' dell'immaginario per acquisire un po' di reale.
Il linguaggio è insieme troppo (per l'illimitata espansione dell'io e per la sommersione emotiva) e troppo poco (per i codici entro cui viene costretto).

Dedica: non potendo donare niente dedico la dedica nella quale si condensa tutto ciò che ho da dire l'indicibile), è un messaggio vuoto, interamente racchiuso nel suo indirizzo, colpisce in quanto è muto.

Passato il momento della prima confessione 'ti amo' non vuol dire più niente.
La parola-frase non è metafora di niente, non porta informazione al di fuori del suo proferimento (non ha un magazzino di significato) è il risultato di una performance: il desiderio non è né represso né riconosciuto, semplicemente goduto, il godimento non si dice ma parla dicendo 'ti amo'.

Con le dichiarazioni voglio carpire all'altro la formula del suo sentimento, ma una cosa, anche se detta, è molto provvisoriamente vera.

La passione è fatta per essere vista, se la si vuole nascondere bisogna che il nascondere si veda 'sappiate che vi sto nascondendo qualcosa' mettendo una maschera sulla passione ma indicandola con un dito discreto e scaltro.
Voglio provocare la domanda 'ma che cos'hai?' per fare compassione e al contempo destare ammirazione, per essere bambino e adulto contemporaneamente.

Il malumore non è altro che un messaggio (ricattatorio?), non c'è nessuno che lo sopporti da solo senza distruggere la gioia intorno a sé.
Si sente che qualcosa manca, i quattro stati di incompletezza codificati Zen sono la solitudine, la tristezza che deriva dall'incredibile naturalità delle cose, il sentimento della stranezza, la nostalgia.


GLI STRUMENTI

Se penso di amare chi non mi ama, posso accorgermi che non è lui che amo, altrimenti amerei il non amarmi.

Accettare le ingiustizie della comunicazione, continuare a parlare con leggerezza e tenerezza senza esigere risposta.

Vagare: benché ogni amore sia vissuto come unico e benché si respinga l'idea di ripeterlo altrove in futuro, a volte il soggetto coglie una specie di diffusione del desiderio amoroso: esso allora capisce di essere destinato a vagare da un amore all'altro.
E' come se attraverso l'amore si accedesse ad un'altra logica (l'assoluto non è più costretto ad essere unico), ad un altro tempo (vivo degli istanti verticali) a un'altra musica (un suono in sé musicale, senza memoria).

Il non-voler prendere (Nvp) è un succedaneo rovesciato del suicidio: non uccidersi per amore vuol dire prendere la decisione di non appropriarsi dell'altro.
Come? Lasciando che il desiderio circoli in me non opponendomi al mondo sensoriale ma addossandogli la mia verità che è di amare assolutamente, e collocandomi da qualche parte fuori dal linguaggio (per rompere con sistema dell'immaginario) e semplicemente sedermi (l'erba cresce da sola).
'Ti amo' si trasforma i 'mi trattengo dall'innamorarmi', o meglio staccarsi dall'essere innamorati e amare, dominare il desiderio per non dominare l'altro.
(Attenzione a non fare del Nvp una mossa tattica o un gonfiamento dell'ego).
C'è del desiderio nell'amare, ma questo è deviato, si orienta verso una sessualità diffusa, una sensualità generalizzata.

Se un soggetto innamorato si racconta in una 'storia' d'amore, conciò stesso si riconcilia con la società da cui si escludeva.
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